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LE RADICI DELL'EURO

La nascita della moneta unica è un evento che appartiene alla sfera dell'economia, della storia economica. Ma le sue radici affondano in una sfera diversa e più ampia: la sfera politica, della storia politica. 
Che la moneta abbia un significato non solo economico è cosa risaputa da sempre. La moneta è qualcosa di più di un semplice strumento dell'attività economica. Attraverso le sue implicazioni soggettive, il suo radicamento nella quotidianità, la sua natura tra realtà e simbolo, essa tocca la sfera dell'antropologia e quindi della politica. "Nòmisma" era il nome greco della moneta: un termine ricco di senso, l'equivalente di costume, abitudine, uso consolidato e riconosciuto.
La moneta è anche, da sempre, sigillo di sovranità e segno di appartenenza. Sovranità e appartenenza, oggi con l'euro, significano Unione europea. Rimandano cioè a quel soggetto del sistema internazionale, unico nel suo genere, che si è venuto costruendo con progressive cessioni di sovranità da parte di un numero crescente di Stati del continente europeo, attraverso un processo che è ancora lungi dall'essersi concluso. 
La natura di questo processo, anche quando l'oggetto dell'integrazione è specificamente economico, è sempre riconducibile a un elemento politico, più precisamente a un patto politico. Il primo patto, fondamentale e decisivo, fu quello che, agli inizi degli anni cinquanta, mutò il corso del secolo ventesimo. Dopo un mezzo secolo segnato dagli orrori di due guerre mondiali nate dalle inimicizie europee, si aprì per l'Europa, a partire dalla ritrovata amicizia franco-tedesca, un cammino nuovo di pace irreversibile. Quarant'anni più tardi, caduto il muro di Berlino, è sopravvenuta per l'Europa comunitaria una nuova responsabilità continentale. In forza di essa, il patto originario sta per estendersi ora alle nuove democrazie dell'Europa centrale e orientale. 
Ma guardiamo alla storia, alla lunga storia trentennale che ha portato oggi al completamento dell'Unione economica e monetaria, anche se non ancora per la totalità dei quindici paesi che oggi sono membri dell'Unione. E' una storia complessa, fatta di avanzamenti e di pause, di impulsi e di esitazioni, di accelerazioni e di rallentamenti. 
Il primo impulso verso l'Unione economia e monetaria nasce sul finire degli anni '60, in coincidenza con la ripresa dello slancio comunitario, dopo la frenata imposta da De Gaulle: avanzamento politico e avanzamento economico e monetario insieme. All'Aja, l'1-2 dicembre 1969, i Capi di Stato e di governo dei sei paesi membri decidono di aprire i negoziati per l'allargamento (nel 1973 entreranno nella Comunità Il Regno Unito, L'Irlanda e la Danimarca) e di avviare prime forme di cooperazione politica. Ma decidono anche di dar vita, per tappe, a una Unione economica e monetaria. Incaricato di prepararla è un Comitato presieduto dal primo ministro lussemburghese Pierre Werner.
Nacque così il Piano Werner, che prevedeva un cammino di dieci anni, con tappe successive di crescente armonizzazione monetaria. Esso fu adottato nell'ottobre 1970. Ma il Piano ebbe sin dall'inizio vita difficile. Il 1971 fu l'anno della decisione americana di sospendere la convertibilità del dollaro in oro. Tramontò per sempre il sistema di cambi fissi che per venticinque anni aveva governato i rapporti monetari internazionali. Sopravvenne, ad accrescere le turbolenze monetarie, la crisi petrolifera del '73. Cadde così, per impraticabilità, l'idea di un'area monetaria europea caratterizzata da fluttuazioni limitate e controllate.
Il parallelismo tra spinta all'integrazione politica e ricerca di una maggiore integrazione economica si ripresenta nella seconda metà degli anni '70. Con il rapporto Tindemans del 1976 si affaccia per la prima volta l'idea di una Unione europea. Matura la decisione sull'elezione a suffragio universale e diretto del Parlamento europeo. Ma riprende anche il cammino verso l'integrazione monetaria. 
Toccherà a Francia e Germania ridare spinta al processo. Siamo nel 1978. Il presidente francese Valéry Giscard d'Estaing, oggi chiamato a presiedere la Convenzione che dovrà preparare un nuovo statuto per l'Unione europea, e il cancelliere tedesco Helmut Schmidt, al Consiglio europeo di Copenhagen dei primi di aprile, espongono ai colleghi l'idea di dar vita, su basi nuove e più sicure, a un sistema monetario europeo.
La Comunità europea non poteva continuare a soffrire delle turbolenze del cambio. Questo era il tema di fondo. Lo sentii esporre - mi sia consentito un ricordo personale - con vigore ed eloquenza da Schmidt, a Bonn, nel luglio successivo, alla riunione del G7 alla quale partecipavo da ministro del Tesoro. Il destro gli fu offerto da una domanda di Jimmy Carter, Presidente degli Stati Uniti, che lasciava trasparire scetticismo sulle vere ragioni dell'iniziativa europea. Questa fu la risposta: "I paesi europei si distinguono per un elevato interscambio di beni e servizi; ma le decisioni di investimento sono penalizzate dall'incertezza sul rapporto di cambio che si avrà al momento dell'esportazione. Voi americani avete tutt'altra situazione. Siete molto meno dipendenti dalle esportazioni, e assai più concentrati sul vostro immenso mercato interno. Ma qui siete al sicuro: da New York a San Francisco, da Miami a Vancouver, la moneta è unica, è il dollaro; altro che rischio di cambio." Si sentì la voce di Pierre Trudeau, il primo ministro canadese: "Evidentemente non sono aggiornato: pensavo che Vancouver fosse ancora in Canada". 
Lo schema di quello che sarebbe diventato lo SME prevedeva una ristretta banda di oscillazione (il 2,25 al di sopra o al disotto della parità; all'Italia fu concessa una banda del 6 per cento); prevedeva speciali disposizioni di sostegno; ma, soprattutto, richiedeva ai paesi partecipanti l'adozione di misure per mettere ordine nelle proprie economie. Quest'ultimo era, tipicamente, il problema dell'Italia.
Sarà il 13 marzo del 1979 la data di entrata in vigore dello SME. La sua storia vedrà una serie di riallineamenti delle parità, l'adesione del Regno Unito nel 1990, altre adesioni successive dei nuovi paesi membri, la grave crisi valutaria del 1992, un'ultima fase con una banda del 15 per cento sino alle decisioni preparatorie dell'euro. Il Sistema monetario europeo, con i suoi Accordi di cambio, ha assolto al suo scopo. Ha evitato al commercio intraeuropeo i guasti prodotti da fluttuazioni ingovernabili. Ha, soprattutto, allenato l'Europa in vista dell'ultima, definitiva parte del tragitto verso la moneta unica. 
A metà degli anni '80 la scena comunitaria si anima. Nel giugno 1985, Jacques Delors, che ha assunto all'inizio dell'anno le funzioni di presidente della Commissione europea, presenta un Libro bianco sul completamento del mercato interno per il 1992. Per raggiungere questo obiettivo, si procede alla revisione dei trattati comunitari, con l'Atto Unico Europeo, che entrerà in vigore nell'estate 1987. In questo quadro si ripropone, questa volta su basi nuove e più sicure, il discorso sulla moneta unica. 
L'intuizione di Delors, che guida il Comitato incaricato di preparare un rapporto al Consiglio Europeo sull'Unione economia e monetaria Comitato, era semplice e lucida. La piena realizzazione del grande mercato, con la completa liberalizzazione dei movimenti dei capitali a breve, avrebbe reso insieme possibile e necessaria la convergenza delle economie e l'introduzione della moneta unica. Il Consiglio europeo di Madrid del giugno 1989 accoglie le conclusioni del Rapporto Delors in maniera molto positiva. La strada è finalmente aperta per le necessarie modifiche dei trattati. 
A questo punto, con una improvvisa e imprevista accelerazione, la storia e la politica prendono il sopravvento sull'economia. Il 9 novembre cade il muro di Berlino. Crolla il sistema comunista. Finisce l'Europa bipolare. Nasce per l'Europa comunitaria una nuova responsabilità continentale. Siamo a un passaggio decisivo. Alla parte ordinaria dell'ordine del giorno comunitario, con al suo centro l'unione economica e monetaria, si affianca la parte straordinaria, sul come attrezzarsi politicamente per gestire una situazione europea così radicalmente nuova.
Contrariamente al parere degli scettici e dei pavidi, l'agenda ordinaria non sarà né cancellata né attenuata dall'incombere dell'agenda straordinaria. Un'Unione economicamente e monetariamente rafforzata, e quindi dotata di uno strumento potente di competitività, vedrà crescere anche il suo peso in termini politici. Di questa realtà si faranno interpreti Francia e Germania.
Con una lettera a firma congiunta in data 18 aprile 1990, indirizzata al primo ministro irlandese presidente di turno del Consiglio europeo, Mitterrand e Kohl chiedono che si proceda alla convocazione di due Conferenze intergovernative, una per le modifiche dei trattati in vista dell'Unione economica e monetaria, l'altra per le modifiche necessarie al nascere di un'Unione politica. Così avverrà. Le due Conferenze si apriranno a Roma, sotto presidenza italiana, il 15 dicembre. 
Il trattato istitutivo dell'Unione europea è firmato a Maastricht il 7 febbraio 1992. Insieme alle disposizioni sulla dimensione politica dell'Unione (Politica estera e di sicurezza comune e Cooperazione in materia di giustizia e affari interni), il trattato contiene le disposizioni dirette a realizzare e regolare l'Unione economica e monetaria. Sono indicati con precisione i principi, le tre fasi con le rispettive scadenze, le regole del Sistema europeo di banche centrali con al centro la BCE, le clausole derogatorie per Danimarca e Regno Unito, i requisiti per la partecipazione alla moneta unica. Non senza qualche vicissitudine, il trattato entra in vigore il 1° novembre 1993.
Gli ultimi dieci anni, con le tappe che portano alla moneta unica secondo lo schema di Maastricht, sono storia recente. Spicca la straordinaria rimonta dell'Italia, partita da condizioni pressocchè proibitive di disavanzo pubblico e rientrata nelle condizioni stabilite a Maastricht con una determinazione più forte di ogni difficoltà. 
Ma la storia non finisce qui. La realizzazione di una grande area monetaria, nella sua dimensione attuale e nelle sue prevedibili estensioni, apre prospettive nuove di crescita e di presenza economica a livello mondiale. Il Consiglio europeo di Lisbona, nel marzo 2000, ha messo a punto una strategia, chiamata appunto "strategia di Lisbona", con l'obiettivo di fare dell'Europa, entro il 2010, l'economia basata sulla conoscenza più dinamica del mondo. Parallelamente si è aperta, con le decisioni di Laeken dello scorso dicembre e con l'avvio dei lavori della Convenzione per la riforma dei trattati, una fase decisiva per dare all'Unione una dimensione costituzionale. Politica ed economia rappresentano, ancora una volta, la sinergia vincente della nuova Europa.

 

Postfazione di:
Filippo Maria Pandolfi
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