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1. RAGAZZI, ADOLESCENTI, GIOVANI. QUESTIONI PRELIMINARI


Abbiamo scelto la parola "giovani" nel dare il titolo al nostro Convegno per diverse ragioni: a. perché è sempre più difficile distinguere tra adolescenza e giovinezza, in quanto molti studiosi parlano di adolescenza protratta, prolungata, ed indicano il suo protrarsi fino ai 25/30 anni (1); b. perché con la parola "giovani" si comprende anche gli adolescenti da 14 anni in su; c. perché sempre più spesso si usa "giovani" per indicare i ragazzi che frequentano la scuola secondaria di secondo grado.
Riflettendo sulla questione terminologica, si scopre che, pur nel riconoscimento che le tre parole che aprono il paragrafo (Ragazzi, Adolescenti, Giovani) sono usate come sinonimi, in effetti hanno significati diversi: quando si dice "ragazzi" si vuol intendere la popolazione giovanile scolastica in formazione; con il termine "adolescenti" si sposta l'attenzione sui problemi del cambiamento fisico e psicologico nei soggetti da 11/12 anni in poi; la parola "giovani", che noi abbiamo preferito, è più onnicomprensiva e sembra avere connotazioni positive: indica il nuovo, il futuro, la forza, la baldanza, il coraggio, la fiducia nella generazione in formazione.
Nel corso delle due sessioni del Convegno, penso che saranno usate indifferentemente le tre parole, senza caricare di particolari accezioni l'una o l'altra. E certamente al centro della nostra attenzione sarà l'età che ha inizio con la pubertà e con la fine della fanciullezza e si conclude con la definitiva autonomia economica ed esistenziale.
E' noto che l'età che ci interessa è caratterizzata da una serie sconvolgente di cambiamenti: fisici, psicologici, comportamentali. Innanzitutto aumenta l'altezza dei nostri ragazzi: l'inizio dell'incremento della statura è individuato a 10 anni, la conclusione intorno a 20 anni. Non si cresce solo in altezza: anche il peso subisce cambiamenti significativi, tanto che alla fine della fase dello sviluppo è stato riscontrato che il peso corporeo risulta raddoppiato rispetto all'inizio della crescita. In tale ambito si collocano lo sviluppo degli organi genitali e dei caratteri sessuali secondari (es.: cambia il timbro della voce, nelle ragazze cresce il seno eccetera). Ma è sul piano psicologico che i cambiamenti interagiscono con i soggetti vicini: pari, familiari, insegnanti. Si verifica una "nuova nascita" della personalità, si rinnovano gli aspetti psicologici, cambiano i comportamenti.
Negli studi di psicologia dell'adolescenza sono stati riconosciuti alcuni specifici "compiti di sviluppo", che non riguardano soltanto i mutamenti fisici e psicologici dei ragazzi, bensì soprattutto il ruolo sociale dell'adolescente alla ricerca della sua autonomia (dalla famiglia, dal contesto ambientale, dagli adulti in genere).
Principali compiti di sviluppo.

  1. Instaurare nuove relazioni con i pari maschi e femmine

  2. Acquisire un ruolo sociale maschile o femminile

  3. Prendere consapevolezza del proprio corpo, accettarlo e usarlo in modo efficace

  4. Sviluppare spazi di autonomia rispetto all'ambiente familiare e al mondo degli adulti in generale

  5. Accrescere i proprio bagaglio cognitivo e maturare competenze culturali e professionali

  6. Orientarsi e prepararsi verso un'occupazione o una professione

  7. Assumere consapevolmente e responsabilmente comportamenti sociali

  8. Costruirsi un sistema di valori e una coscienza etica nella vita civile, sociale, professionale

  9. Prepararsi ad una vita matrimoniale e all'elaborazione di un nuovo tessuto familiare

  10. Sviluppare la propria partecipazione alla dimensione della cittadinanza

Sono compiti di sviluppo che non possono valere per tutte le condizioni socio-ambientali e in tutte le dimensioni geografiche, economiche e politiche. E' una lista ideale che si adatta più facilmente agli ambienti della classe media nella società occidentale avanzata. Molto più complessi e contraddittori sono i compiti di sviluppo per i ragazzi che vivono nell'emarginazione, nell'abbandono, nella solitudine, nello squallore delle periferie delle grandi metropoli, nel mondo tragico della povertà e della deprivazione. (2)
Per quanto concerne la nostra realtà, assunto come possibile riferimento il "decalogo" dei compiti citati, ci rendiamo conto del grande stress morale, intellettuale e civile che accompagna i ragazzi nella loro crescita verso l'età adulta. E, soprattutto, non possiamo non prendere atto delle grandi responsabilità che gli adulti non possono non assumersi verso i giovani: il risultato del difficile cammino dalla fanciullezza all'età adulta è in gran parte determinato dall'interazione giovani/adulti, dal sostegno che la famiglia, la scuola e le organizzazioni civili e sociali sanno mettere a disposizione dei ragazzi.
Nell'età dell'adolescenza/giovinezza si costruisce l'identità del soggetto umano. Il giovane passa gradualmente dal pensiero concreto al pensiero astratto; sviluppa le capacità di ragionare in termini ipotetico-deduttivi; esce dal microcosmo familiare e scopre il mondo; sviluppa giudizi critici verso la realtà della famiglia e della scuola; sogna un mondo più giusto e più equo, un futuro migliore; si forma il concetto di sé scoprendo la distanza tra la percezione di sé e la considerazione da parte degli altri; avvia una riflessione approfondita su se stesso, sulle sue capacità, sul suo modo di essere e di comportarsi, sul suo io; scopre il significato dell'amicizia, il valore della lealtà, della morale e della giustizia; nutre un ambiguo giudizio su se stesso che può svilupparsi in autostima o in apatia e senso di frustrazione (i risultati dipendono molto dall'accoglienza degli altri, adulti ed educatori in primis).
Il giovane, di norma, sa di giocare la partita fondamentale della sua vita. Attraverso l'interazione con genitori, educatori e pari, spesso in conflitto con l'autorità familiare e scolastica, sente di essere protagonista di un grande processo di trasformazione che segnerà l'acquisizione di una identità, di una personalità, di un ruolo specifico nell'ambito civile e sociale. Ci sono molti e complessi ostacoli da superare. Un primo problema può essere rappresentato da un ambiente iperprotettivo familiare; disturbi vari possono essere provocati da comportamenti autoritari da parte dei genitori e degli educatori; disagi possono essere creati dalla mancanza di stimoli da parte dell'ambiente socio/familiare/scolastico.
Lo sforzo di esplorazione e di ricerca di un proprio cammino verso l'età adulta può essere frustrato da incomprensione e da indifferenza. Il complesso percorso di costruzione dell'edificio dell'identità personale e sociale, sostenuto da un progetto di vita che sia il risultato dell'interazione con i coetanei e con gli adulti, può subire un blocco e, comunque, può essere compromesso non solo a causa della fragilità psicologica del soggetto in formazione, ma soprattutto a causa di comportamenti di chiusura, di insensibilità, di indifferenza assunti da genitori ed educatori. Il disagio giovanile - insomma - può essere la risultante di un processo di crescita bloccato, in ragione anche di un'opera educativa carente o distorta.

2. GIOVANI E ADULTI

Il tema dei rapporti Giovani/Adulti, Figli/Genitori, Allievi/Docenti è molto presente nella letteratura mondiale, perché è stato ed è costitutivo dell'essere umano.
Nell'introdurre il volume (3) che abbiamo adottato come testo principale in vista di questo Convegno, Maurizio Quilici ha scritto: "Noi siamo come ci hanno fatti - magari senza volere - i nostri genitori. E i figli nostri saranno in buona parte come noi li avremo fatti".(4) Senza disconoscere gli altri fattori educativi, da quello ereditario a quello ambientale passando per gli invasivi media quotidiani, l'antologia di Quilici , riportando brani di poeti, di narratori, di giornalisti, di psicologi, di antropologi e testi tratti da fiabe, da miti, da opere fondamentali delle religioni del mondo, ci aiuta a capire la relazione tra genitori e figli, i problemi e le contraddizioni più comuni. E non sono poche le sorprese che ci riservano scrittori e poeti che noi magari conosciamo soltanto attraverso i romanzi e l'opera in versi.
Cominciamo con il caso Balzac. Non ebbe un felice rapporto con i genitori, non ebbe figli, ma fece del tema padri/figli una scelta privilegiata. Il suo manifesto della "paternità", Papa Goriot, si conclude con una profezia: "La patria perirà se i padri sono calpestati", a difesa dell'idea paternalistica della società, sostenuta sia rappresentando un padre dolce, tenero e altruista come Goriot, sia tratteggiando un padre avido, egoista, autoritario e collerico come Grandet.
Emergono già due figure antitetiche di padri. Procedendo nella lettura incontriamo madri amorose e tenere che bilanciano l'esistenza di madri acide, distaccate e senza cuore. Baudelaire, orfano di padre a sei anni, riversa nella madre tutto il bisogno di affetto e di amore di un fanciullo e di un adolescente cresciuto nell'idealizzazione materna. Leopardi, prendendo atto dell'assenza di rapporti con la madre (gelida, austera, scostante), tenta di spiegare a se stesso e al padre le cause dell'incomprensione e i motivi della scelta di allontanarsi dalla casa paterna.
Il conflitto padri/figli è al centro di molte pagine della letteratura di tutti i tempi. Può assumere il volto del genitore che con metodo e sistematicità intende piegare la crescita del figlio ai suoi ideali, al suo modello di vita e, per raggiungere lo scopo, non esita ad esercitare una sottile e ininterrotta violenza psicologica (CH. DICKENS, Tempi difficili), oppure pone l'accento non solo sugli obblighi filiali, ma sulla dignità che anche i padri devono conquistare, meritando il riconoscimento della paternità: "Diciamo apertamente: colui che genera, non è ancora padre; padre è colui che genera e se ne rende degno" (F. DOSTOEVSKIJ, I fratelli Karamazov), oppure esplode in un vero e proprio scontro fisico che segna la fine delle brutalità paterne e l'inizio della liberazione di un figlio considerato primitivamente proprietà del padre padrone (G. LEDDA, Padre padrone ).
Sentiremo dagli interventi dei ragazzi e dei docenti le considerazioni svolte sui brani letti in classe, le osservazioni e i confronti sviluppati, gli interrogativi che sono scaturiti dall'impatto con pagine forti e coinvolgenti: penso alla Lettera al padre di Kafka, agli scritti di Hermann Hesse, alla disperata attesa di un cenno di amore da parte di Matilde Manzoni, che affida al diario (Journal) il doloroso bisogno di un'attenzione da parte del famoso padre (Alessandro).
Il rapporto Genitori/Figli è fondamentale nella crescita dei ragazzi, in particolare nella fascia che a noi interessa: dai 14 ai 18 anni. Il padre e la madre per l'adolescente sono punti di riferimento, solide àncore per l'affetto e la sicurezza, ma non sono più i pilastri dell'età della fanciullezza. I ragazzi, man mano crescono, sentono il bisogno di affrancarsi dalla tutela genitoriale, guardano ai coetanei come a modelli di comportamento, vedono negli insegnanti possibili alternative al modello paterno e materno. La famiglia, insomma, non è più sola nella formazione dell'identità personale e sociale dei figli. La scuola svolge un ruolo importante, ma altrettanto importante è la funzione svolta dall'ambiente frequentato dal giovane, che non sempre è studente. Sappiamo che, di norma, l'adolescente si autodefinisce come studente della secondaria superiore e sembra non tener conto che ci sono tanti (troppi) coetanei che non fanno esperienza scolastica da 15 a 18 anni. Per i giovani che abbandonano la scuola (circa il 30%, secondo l'ultimo Rapporto ISFOL), che denunciano una profonda avversione allo studio, che non seguono corsi formativi alternativi alla scuola, risulta fondamentale il ruolo dell'ambiente frequentato (i pari, il quartiere, il gruppo). 

Se rivolgiamo l'attenzione agli ambienti da cui provengono i nostri alunni e al territorio, che corrisponde di fatto alla Valtiberina toscana e umbra, pur nella diversità delle tipologie dei nuclei familiari, di norma non registriamo casi anomali che meritano uno studio e una diagnosi specifica. Credo che possiamo affermare che, generalmente, le famiglie dei nostri ragazzi sono preoccupate della crescita dei figli, li seguono nella vita sociale e nelle scelte scolastiche, cooperano all'emancipazione dei figli dalla protezione paterna e materna, sono consapevoli dei danni provocati da un'educazione permissiva, si mettono in discussione e di buon grado collaborano con la scuola favorendo la realizzazione del triangolo virtuoso famiglia/studente/scuola. Basta consultare i dati sulla dispersione scolastica, del tutto insignificanti, per capire come la quasi totalità dei ragazzi da 14 a 18 anni sia impegnata in un corso di studi e, pur tra contraddizioni, difficoltà e insuccessi parziali, ritenga che la scuola rappresenti una scelta formativa obbligata e che la formazione scolastica non solo incrementi il capitale sociale della vallata, bensì rappresenti un valore aggiunto alle potenzialità di ogni singolo soggetto. 
Il conflitto padri/figli, docenti/studenti nella nostra realtà non sembra assumere forme dirompenti e raramente si trasforma in rottura. I genitori, nel processo di autonomizzazione del figli, accettano il ruolo di vigili accompagnatori dei ragazzi nel difficile cammino dalla fanciullezza all'età adulta. E i docenti, almeno a me sembra, sono generalmente riconosciuti nella loro funzione di educatori, di esperti disciplinari e di guide nella formazione della coscienza critica e nella costruzione del senso civico in una società democratica. Penso che sia largamente riconosciuto che nelle nostre scuole si respiri un clima di rispetto reciproco e siano ampiamente dominanti stili educativi non autoritari. La nostra scuola è impegnata a svolgere con coerenza il suo insostituibile compito di socializzazione e di formazione e si sforza di rappresentare per i ragazzi un aiuto concreto a crescere, a costruirsi un progetto di vita, a definire la propria identità personale e sociale. Ma, in un mondo sempre più omologato e sempre più globalizzato, dobbiamo essere vigili e pronti a cogliere i cambiamenti, ad intervenire per risolvere i problemi di disagio e di difficoltà nell'apprendimento e nella crescita, evidenziati anche da ricerche e indagini svolte a livello nazionale.
Come ha rivelato il CNR nel 2001, i ragazzi fin dagli anni della preadolescenza denunciano disagio e insicurezza nei banchi di scuola. E' molto bassa la percentuale (11/13%) degli studenti che hanno un'alta stima di se stessi e questo vuol dire che sono pochi i giovani che affrontano la scuola con l'atteggiamento positivo di fiducia nella proprie possibilità. La maggior parte degli allievi ha scarsa o media stima delle proprie capacità, della propria emotività e delle relazioni che intrattiene con i familiari e con i pari. I docenti devono tener conto del fatto che il successo degli allievi dipende in gran parte dalla motivazione e che questa si acquisisce attraverso la stima e l'approvazione dei genitori e degli adulti educatori. I ragazzi sentono il bisogno del riconoscimento delle loro qualità, delle loro potenzialità, soprattutto in un'epoca di cambiamenti com'è l'età da 11 a 18 anni. Gli alunni sono motivati anche dall'interessamento dei genitori e dalla loro fiducia. E sentono come fondamentale l'atteggiamento del docente: hanno bisogno di essere ascoltati, di essere aiutati più che di essere giudicati. Si aspettano un insegnante motivato, preparato, disposto a capire gli allievi, a valorizzare le loro potenzialità.

Come si può osservare agevolmente, la relazione Giovani/Adulti è cruciale nella vita di tutti. In famiglia costituisce il tessuto connettivo e può, se curata adeguatamente, prevenire fenomeni di rottura tra le generazioni, solipsisimi di genere, disagi giovanili, ansie, frustrazioni e malesseri. Nella scuola è condizione essenziale per il successo educativo: docenti e studenti non possono costruire nessun progetto di formazione senza la fiducia reciproca, senza il riconoscimento di compiti e funzioni specifiche dei due soggetti in cooperazione. La stessa legittimità delle istituzioni sociali e il futuro, quindi, della vita comunitaria e della nostra democrazia poggiano le loro fondamenta sulla soluzione dei conflitti generazionali, sulla comunicazione costruttiva ed efficace tra giovani e adulti.

3. PROVE DI ASCOLTO

Nel corso del Convegno, insieme alla voce di studiosi ed esperti, ascolteremo le testimonianze di studenti, docenti e genitori che hanno riflettuto sul tema oggetto del nostro incontro e ci riferiranno i risultati dei confronti promossi all'interno delle quattro istituzioni scolastiche coinvolte.
Facendo tesoro della nostra esperienza, tenuto conto sia degli elementi positivi a cui facevo riferimento sia di quanto percepiamo quotidianamente nelle nostre scuole, credo che si debba affermare l'assoluto bisogno di ampliare gli spazi dedicati al dialogo tra giovani e adulti, tra studenti e docenti. In famiglia, spesso, troppo spesso, osserviamo che prevalgono ragioni per così dire "economicistiche" (gli impegni quotidiani, la corsa continua, le faccende giornaliere) e la relazione con i figli viene trascurata, viene riservata all' "implicito" della routine familiare. I figli crescono, stabiliscono amicizie ignorate dai genitori, si costruiscono un "giro" al di fuori della famiglia e in assenza dei genitori, si scoprono lontani e diversi, non comunicano con il padre e con la madre, e i genitori non si preoccupano, non corrono ai ripari. Improvvisamente, la cronaca ci rivela atti per noi incomprensibili, incatalogabili, di giovani ritenuti normali, bravi ragazzi: quattro adolescenti in una città meridionale adescano una bambina e, dopo aver tentato di abusarne, la bruciano viva; in una città del nord due ragazzi benestanti uccidono una prostituta; in un piccolo centro lombardo tre liceali accoltellano a morte un'anziana suora; un giovane studente uccide l'ex fidanzata nel cortile della scuola durante la ricreazione; una ragazza e il suo fidanzato massacrano la madre e il fratellino di lei in un tranquillo paese di provincia.
Perché succedono fatti così gravi in famiglie normali e in ambienti considerati tranquilli?
Quali sono le nostre responsabilità di genitori, di adulti, di educatori?
A scuola, come in famiglia, soprattutto nella secondaria superiore, per quanto i rapporti tra studenti e docenti siano cambiati negli ultimi 30 anni, c'è penuria di dialogo. Gli insegnanti interpretano in generale il ruolo di esperti disciplinari e sono preoccupati dei contenuti dell'insegnamento più che della crescita umana, civile, sociale degli allievi. Possono essere registrati buoni rapporti tra studenti e docenti, ma manca la intercomunicazione sui temi che più interessano i ragazzi: il senso della vita, i valori dell'esistenza, i sentimenti individuali, la crescita dell'io. (5)
Se scorriamo i POF che le istituzioni scolastiche hanno elaborato negli ultimi anni, scopriamo con piacere l'attenzione ai bisogni dei ragazzi, insieme alla convinta sottolineatura delle finalità educative, di costruzione della cittadinanza, perseguite dalle scuole. Eppure, nella pratica didattica quotidiana, nella vita in aula, si riscontra un grave deficit di comunicazione, si registrano preoccupanti disattenzioni alle semplici richieste di ascolto che provengono dai giovani. Indagini, interviste, rapporti di Istituti di ricerca confermano che i giovani di oggi esprimono bisogni di attenzione, di ascolto, di relazione, chiedono agli adulti considerazione, cura e rispetto, dichiarano fiducia e profondo legame con il mondo di appartenenza.
Un team di sociologi dell'Università di Urbino (6) ha condotto, tre anni fa, una ricerca sulle idee e i comportamenti dei giovani rispetto all'appartenenza ad un territorio, rispetto al sentirsi italiani ed europei, nei riguardi della famiglia, della scuola e dei docenti, rispetto a quel sentimento che è indicato con il termine di "spirito civico" ("sinonimo di virtù civiche (repubblicane), in senso stretto .. rettitudine, correttezza interpersonale, rispetto dell'altro, reciprocità") (7) . Alla ricerca, insieme ad altre scuole della penisola, ha partecipato il nostro Istituto Tecnico Commerciale "Fra Luca Pacioli": a studenti del triennio e a docenti della scuola sono stati somministrati i questionari preparati dagli studiosi urbinati. Recentemente sono stati pubblicati i risultati dell'indagine in un libro, edito da Franco Angeli, che merita un'attenzione particolare, visto che anche noi abbiamo partecipato alla sua realizzazione.
Il lavoro di Marcello Dei e dei suoi collaboratori non ha inteso fotografare la generazione dei giovani di oggi, ma ha mirato a "descrivere le condizioni della cultura sociale e civile dei giovani cittadini che frequentano gli ultimi tre anni della secondaria superiore" (8). Ne è risultato un profilo generazionale che si ispira ad una tavola di valori condivisa da genitori ed educatori. Ad es., malgrado da più parti si celebri la fine della funzione della famiglia nell'educazione, i ragazzi a grande maggioranza affermano che "l'unità della famiglia va difesa in qualsiasi circostanza" (9), sostenendo così il valore primario della famiglia nell'orizzonte della vita giovanile, come risulta anche dall'altra significativa risposta, largamente maggioritaria, alla domanda se i genitori si devono sempre amare e rispettare, indipendentemente dalle loro qualità e dai loro difetti. Commenta Marcello Dei: "La riconoscenza e il rispetto nei confronti dei genitori, valori centrali della socializzazione familiare tradizionale, testimoniano la solidità della struttura gerarchica familiare nel nostro paese" . (10)
In effetti, la ricerca dei sociologi urbinati conferma indagini condotte da altri Istituti su argomenti analoghi e, soprattutto, sfata luoghi comuni che circolano sui giovani, la morale dei giovani, i valori delle nuove generazioni. Accanto al citato familismo, emergono convinzioni forti in merito alle qualità che un giovane dovrebbe apprendere nel corso della sua formazione, a cominciare dall'esempio familiare: la più importante qualità riguarda l'insegnamento delle buone maniere; seguono nella lista la responsabilità e, molto distaccate, l'autonomia, la tolleranza, il rispetto per gli altri, la determinazione. Se poi scorriamo l'elenco delle "cose importanti" per un giovane: al primo posto troviamo ancora la famiglia; seguono gli amici/le amiche; il lavoro; il tempo libero; la religione e, in ultima posizione, la politica. Alla disaffezione nei confronti della politica, documentata anche dalle indagini IARD negli anni 90, fa riscontro la sfiducia nello stato, nel governo e nelle altre istituzioni della Repubblica. Evidentemente c'è insoddisfazione per i servizi offerti dalla Pubblica Amministrazione e i giovani non apprezzano i comportamenti e le azioni degli uomini che gestiscono la cosa pubblica.
La scuola è diversamente giudicata, come attestano anche altre ricerche e, in particolare, l'ultimo Rapporto ISTAT (2001). La grande maggioranza di studenti e famiglie, pur auspicando meno materie e un orario sostenibile, chiede che il comportamento e la responsabilità degli studenti siano valutati e che la "condotta" torni a contare nel giudizio complessivo su ogni alunno anche ai fini dell'eventuale "bocciatura". Si evince che ragazzi e genitori hanno ancora fiducia nell'istituzione scolastica italiana. Occorrerà, tuttavia, che docenti e dirigenti scolastici raccolgano i segnali che provengono dal mondo giovanile e dalle famiglie e sappiano elaborare risposte convincenti ed efficaci.
Ha fatto bene Paolo Crepet (11) a mettere in discussione in modo radicale il ruolo svolto negli ultimi tempi da educatori e genitori nel processo di crescita dei ragazzi dall'età della fanciullezza all'età adulta. Crepet, nel suo pamphlet, denuncia adulti e educatori per l'incapacità di comprendere che i comportamenti degli adolescenti e dei giovani dipendono dai modelli educativi, dai comportamenti degli adulti, che spesso, egoisticamente, amano la dipendenza dei figli e degli allievi e poco fanno perché i giovani si avviino alla conquista dell'autonomia psicologica, economica, logistica, esistenziale. I genitori non assumono atteggiamenti coerenti nell'opera educativa; corrosi dai sensi di colpa per la scarsa attenzione dedicata ai figli, hanno comportamenti permissivi, non hanno mai il coraggio di un diniego, crescono i propri figlioli nell'omologazione incosciente e perniciosa senza uno scatto di autorevolezza, senza l'indicazione di un orientamento nelle scelte di vita. Gli educatori rinunciano al loro ruolo di guida dei ragazzi, degli adolescenti e dei giovani, non costituiscono più un punto di riferimento, appaiono contraddittori ed incoerenti, credono che il processo di educazione democratica consista nella confusione dei ruoli, nella cancellazione delle regole nella vita associata.
Educare alla vita è possibile attraverso l'educazione all'autonomia e alla responsabilità, l'indicazione chiara e ferma del rispetto di limiti e regole nella sfera familiare e in quella sociale e, soprattutto, attraverso l'esercizio dell'ascolto reciproco. Il nostro invito è di provare ad ascoltarsi, di provare a rallentare i ritmi infernali della vita quotidiana, di provare a ricostruire, dove è compromesso, il tessuto delle relazioni umane (in casa, a scuola, nel quartiere, in comunità) e di contribuire ad affermare i valori di una società dal volto umano, in cui i sentimenti e le emozioni, il dialogo tra pari e tra generazioni diverse, prendano il posto dell'egoismo individualista e del superfluo della pratica consumista.

BIBLIOGRAFIA

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M. DEI , Sulle tracce della società civile. Identità territoriale, etica civica e comportamento associativo degli studenti della secondaria superiore, con un saggio di Massimo Russo, F. Angeli, Milano, 2002

1 Individuare un'età della giovinezza tra la fine dell'adolescenza e l'inizio dell'età adulta è arduo e supera ampiamente i confini del nostro Convegno. Possiamo riportare, a conferma della nostra scelta, i risultati di una recente ricerca dell'Accademia delle Scienze negli USA, secondo cui è da considerarsi adolescente chi è compreso tra i 10 e i 30 anni (cfr. "Corriere della Sera", 3 gennaio 2002) 
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2 Per questi aspetti cfr. A. PALMONARI, Gli adolescenti, il Mulino, Bologna, 2001, pp.16-20. Indietro

3 Cfr. M. QUILICI (a c. di), Onora il padre e la madre, Bompiani, Milano, 2001 Indietro

4 Ibidem, p. 7. Indietro

5 Cfr. i lavori del Convegno (Roma, 30 novembre-1 dicembre 2001), promosso dall'Istituto di Ortofonologia e dalla Società Italiana di Psicologia, sul tema Dialogando con la scuola e l'inchiesta sul disagio giovanile, condotta in 200 scuole laziali, con l'intervista a 300 docenti: in "Babele. Verso uno scambio comunicativo", n. 19, 2001. Indietro

6 Cfr. M. DEI, Sulle tracce della società civile. Identità territoriale, etica civica e comportamento   associativo degli studenti della secondaria superiore, F. Angeli, Milano, 2002 Indietro


7 Ibidem, p. 10. Indietro


8 Ibidem, p. 21. Indietro


9 Ibidem, p. 22. Indietro


10 Ibidem, p. 24. Indietro

11 Cfr. P. CREPET, Non siamo capaci di ascoltarli. Riflessioni sull'infanzia e sull'adolescenza, Einaudi, Torino, 2001. Indietro

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Introduzione
di Matteo Martelli
sommario
Ragazzi, adolescenti, giovani.Questioni preliminari
Giovani e adulti
Prove di ascolto
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